Camera dei Deputati: Mozione per la tutela del Made in Italy

Roma, 10 luglio 2014

“Gentile Presidente, onorevoli colleghi,
le mozioni che questa Assemblea si appresta a votare, richiamano la nostra attenzione, seppure con qualche sfumatura diversa, su un tema cruciale per l’economia italiana: quello della tutela e della promozione della produzione nazionale, nota nel mondo come Made in Italy.

È un argomento che interessa più settori: quello alimentare, quello tecnologico, del design o dell’abbigliamento, fino ad arrivare – per portare il discorso all’estremo – ad un concetto omni comprensivo di “Made in Italy” che ricomprenda il turismo, i beni monumentali e più in generale la nostra cultura.
Per stare alle attività produttive parliamo – e voglio ricordarlo da imprenditore prima ancora che da deputato – di un insieme di produzioni che da sole garantiscono, come stimato dall’Istat, un contributo di 30 punti percentuali al prodotto interno lordo. Ed è un contributo in espansione, nonostante la crisi, che quest’anno, secondo Eurostat, raggiungerà il 32,2% del PIL.
Per questo motivo , ma anche per continuare a innalzare con orgoglio la nostra bandiera in tutto il mondo, il Made in Italy va difeso, protetto e sostenuto : dobbiamo essere consapevoli di questa enorme ricchezza, tutelarla e svilupparla perché ciò significa crescita economica e soprattutto occupazione.
Ed in questa occasione voglio ringraziare tutti gli imprenditori che nei momenti difficili , quando era troppo facile cedere alle sirene cinesi o dell’est europeo, hanno deciso di mantenere le loro produzioni in Italia.
Oggi posso dire con soddisfazione che hanno avuto ragione; dal 2004 al 2014 il salario minimo di legge cinese e’ triplicato ( da 503 a 1500 RMB), con un trend in crescita confermato per i prossimi anni, rendendo la Cina sempre meno competitiva .
Tornando alle mozioni, esiste certamente una forte complementarietà fra protezione e promozione del Made in Italy, ed è proprio su questa complementarietà che vorrei concentrare il mio intervento.
Comincio dal primo dei due aspetti: quello della protezione. Ad oggi la discussione parlamentare sul Made in Italy e la conseguente produzione normativa, si sono concentrate in modo quasi esclusivo sulla dimensione protezionistica.
La legge 99 avente per oggetto lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, approvata dal Parlamento nel 2009, per esempio, mira a evitare gli effetti perversi della dilagante imitazione dei prodotti e dei marchi aziendali, quelli che gli esperti rubricano sotto il nome di prodotti “italian sounding”.
Imitazione che, come sappiamo, proviene da imprenditori stranieri, operanti soprattutto nei mercati extra-europei (ben 64,5% da quello cinese) ma che, talora, ha ricevuto un implicito sostegno anche in Europa.
Ricordiamo a proposito l’ inopportuna ed egoista opposizione che Regno Unito, Germania e Olanda opposero tra il 2011 e il 2012 al regolamento europeo sul “Made in”.
Questa attività legislativa ha sicuramente dei grandi meriti, ma non è sufficiente: l’ approccio protezionistico sul Made in Italy non ha infatti potuto garantire, da solo, tutti i benefici che ci aspettavamo e che la difesa dello stesso Made in Italy richiede.
I dati in nostro possesso parlano chiaro.
Il Censis pochi giorni fa ha diffuso i risultati di un’indagine a campione tra i giovani della Capitale. Ebbene, dall’indagine emerge che oltre il 74% acquista prodotti falsi, e che per il 66% acquistare merce contraffatta è un fatto socialmente accettabile. A essere contraffatti, e poi acquistati, sono ovviamente i prodotti associati all’eccellenza italiana: abbigliamento e tecnologia per primi.
A 5 anni dall’entrata in vigore della prima legge anti-contraffazione dobbiamo perciò prendere atto del fatto che il Paese soffre ancora la concorrenza, spesso sleale, di taluni produttori stranieri. Il rapporto “Iperico” pubblicato dal Ministero dello sviluppo economico nel 2013 conferma che la contraffazione è ancora ampiamente diffusa su tutto il territorio nazionale, con punte nel centro e sud Italia. Lo stesso rapporto ci dice che, dal 2008 al 2012, c’è stato un incremento dei sequestri, in particolare di prodotti che non rispettano le norme di sicurezza, rispettivamente del 167% e del 316%. Iperico riporta un totale di oltre 80 milioni di pezzi sequestrati. L’Italia, da sola, conta il 15,3% del mercato europeo della contraffazione.

In 10 anni, ci dice il Censis, la pirateria e la contraffazione hanno “rubato” 100mila posti di lavoro. Eliminandola, si stima, si garantirebbe solamente in Italia un’occupazione a 130mila persone.
Ecco perché, onorevoli colleghi, ritengo sia necessario insistere con ancora maggiore incisività sulla strada della tutela del prodotto italiano, allineandosi alle indicazioni che provengono dall’Europa. Le due ipotesi di regolazione presentate dalla Commissione europea nel 2013 ci indicano già i passi da seguire. La prima punta al coordinamento delle autorità di sorveglianza dei Paesi membri.
La seconda proposta adotta un approccio a più ampio respiro, suggerendo l’adozione di norme che, prima ancora di sanzionare la violazione, sappiano garantire la piena tracciabilità del prodotto, tutelando produttori, importatori e distributori e garantendo la sicurezza di chi consuma.
E’ un cambio di paradigma importante. Si va oltre la sanzione, si incentiva la produzione per arrivare alla piena sicurezza del consumatore.
In questa direzione, peraltro, accolgo con grande soddisfazione la nomina di Mario Catania alla guida della Commissione parlamentare d’inchiesta contro la contraffazione.
La sua esperienza di governo in un settore nevralgico come quello delle politiche agricole, unitamente alla sua conoscenza delle dinamiche europee, è una garanzia per la buona riuscita del difficile compito che avrà il gruppo di lavoro da lui presieduto.
Ma, e vengo al secondo punto del mio intervento, il protezionismo da solo non basta per tutelare il Made in Italy.
La lotta alla contraffazione, e più in generale l’approccio difensivo seguito dal legislatore italiano, è – e deve restare – una delle forme per tutelare i nostri distretti produttivi ma, al tempo stesso, abbiamo bisogno di una normativa più ampia, che si inscriva nel solco della seconda proposta della Commissione europea.
Una visione ampia che, appunto, non si arrocchi su posizioni difensive; ma che, al contrario, miri alla esaltazione del prodotto italiano, che accompagni cioè per mano le imprese nazionali sui mercati esteri.
Parliamo, vorrei ricordarlo, di quasi 600mila imprese, che danno lavoro a più di 16 milioni di persone.
Ciò, a maggior ragione, in vista dell’approssimarsi di un evento cruciale per l’economia del Paese: l’esposizione universale di Milano del 2015. L’Expo è un’occasione imperdibile di confronto e sfida positiva con le esperienze straniere. l’Italia non può rinunciare al tentativo di dotarsi di una normazione all’avanguardia, che amplifichi la diffusione del prodotto nazionale, che riduca gli oneri amministrativi, che garantisca il piccolo produttore e che sappia educare il consumatore al valore della qualità.
Concludendo, onorevoli colleghi, ritengo ci siano tre punti essenziali da considerare:
– Primo, abbiamo bisogno di una legislazione sul Made in Italy che oltre a combattere la contraffazione, introduca un marchio di certificazione per la qualità della lavorazione, per la sicurezza della filiera produttiva, per l’originalità e l’inventiva che caratterizzano la lavorazione e la commercializzazione dei prodotti italiani.
I nostri prodotti riescono a coniugare artigianalita’ e tecnologia, gusto estetico e funzionalità, tradizione e modernità ed il Made in Italy continua ad avere in tutto il mondo un forte valore aggiunto.
Non possiamo non ricordare, a proposito, che nel 2010 KPMG ha attestato che “Made in Italy” e’ il terzo marchio più noto al mondo, subito dopo Coca Cola e Visa
A renderlo tale è la qualità. Ed è dalla qualità che dobbiamo ripartire. È l’unico baluardo per far fronte all’abbattimento selvaggio dei costi e delle tutele per i lavoratori che la globalizzazione ha imposto ai mercati.
Comunicare la qualità del prodotto, garantendola per legge, è la chiave di volta di un sistema vincente.
– Secondo punto, tra i problemi che è urgente risolvere per dare impulso alla produzione nazionale e difendere il Made in Italy c’è la riduzione degli oneri burocratici.
Il susseguirsi continuo di norme dal livello europeo a quello locale, e con esse la normativa di attuazione, ha creato un assetto di regole intricato, con gravi problemi di interpretazione e applicazione delle norme ed i primi a subirne le conseguenze sono proprio gli imprenditori italiani.

– Terzo e ultimo punto è quello già toccato in precedenza, relativo alla cultura del consumatore. Credo che, in linea di principio, la cultura dell’acquirente sia una conseguenza naturale di una buona legislazione sul Made in Italy. Ma si può comunque stimolare l’attenzione del consumatore ai beni che ha da offrire la produzione nazionale. Come? Per esempio favorendo le associazioni tra imprenditori locali e società civile, che operino quindi non nella logica del “cartello”, ma in quella della pubblicizzazione della attività. Oppure, come già sta accadendo nel settore della luce e del design, contraddistinguendo con un unico marchio identificativo i prodotti di filiera .

È dalla cultura per il buono, dalla riduzione degli oneri per le imprese e dalla originalità dei nostri prodotti che dobbiamo ripartire, per dare linfa in Europa e nel mondo al nostro sistema produttivo.

Le mozioni presentate oggi muovono in questa precisa direzione e sono meritevoli del nostro sostegno.

Annuncio pertanto il voto favorevole di Scelta Civica.”

 

Dichiarazione pubblicata anche sul sito del “Comitato «Design Luce & Led Made in Italy»“.