Gianfranco Librandi (SC): «Perché dico sì agli F35»

Oggi sarà votata alla Camera una mozione presentata dal deputato Giulio Marcon di Sel e co-firmata da 157 altri parlamentari finalizzata a chiedere la cancellazione della partecipazione italiana dal programma di realizzazione dell’aereo Joint Strike Fighter F35, programma nel quale il nostro Paese è impegnato già dal 1999.

Per poter decidere con coscienza che posizione assumere su questa mozione, mettendo sempre e comunque in primo piano il bene del nostro Paese, per cercare di capire se l’ uscita dal programma F35 poggia su obiettive motivazioni tecniche o finanziarie oppure se è frutto dei preconcetti ideologici e culturali di chi vede nell’azzeramento delle spese militari la risoluzione di ogni problema , è necessario ripercorrere – almeno per sommi capi – la storia recente del programma Joint Strike Fighter.

Un progetto che viene avviato negli Stati Uniti nella prima metà degli anni ’90, con lo scopo di sviluppare un velivolo da combattimento di nuova generazione, caratterizzato da spiccate caratteristiche ” stealth” ( bassa osservabilità da parte dei sistemi radar ) e net centriche ( interconnessione di tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio dati a disposizione) ed in grado di sostituire, con un unico aereo in più versioni, un’ampia gamma di velivoli della flotta americana.
L’Italia, che si trova nella necessità di mandare in pensione l’ormai sorpassata flotta della sua Aeronautica fatta di vetusti ed iper- sfruttati Tornado, Amx ed Harrier, aderisce al programma già nel 1998, quando il Governo D’Alema sottoscrive il Memorandum of Agreement , che ci vede partecipare al progetto insieme all’Olanda come partner di 2° livello, con una quota di investimento nello sviluppo del programma di poco meno del 4 per cento; la Gran Bretagna è partner di primo livello, con un investimento di circa il 10 per cento mentre Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca sono partner di terzo livello con un investimento pro capite dell’1-2 per cento.
E’ chiaro allora che la maggior parte dell’investimento grava sulle spalle degli Stati Uniti.
L’Italia è perciò parte attiva nelle successive fasi del programma, che parte nel 1999 con la progettazione e prosegue negli anni seguenti con lo sviluppo dei sistemi del velivolo e la produzione di prototipi: nel 2002 il secondo Governo Berlusconi conferma la partecipazione al progetto, sul cui andamento il Parlamento viene informato in più occasioni ( 28.7.2004 e 16.1.2007)

La realizzazione dell’ F35 subisce nel contempo rallentamenti e ritardi legati a gravi problematiche tecniche ed e’ messa in discussione anche da un incremento rilevante dei costi iniziali previsti.
Nel 2009 le Commissioni Difesa di Camera e Senato esprimono parere favorevole allo schema di programma trasmesso dal Governo che conferma l’adesione dell’Italia alla terza fase del progetto Joint Stike Fighter, relativa allo sviluppo ed alla produzione del nuovo velivolo, ponendo però alcune precise condizioni legate, oltre che alla individuazione di adeguate risorse finanziarie, alla conclusione di accordi industriali che consentano un ritorno economico, anche per tutelare i livelli occupazionali, ed alla fruizione da parte dell’Italia dei risultati dell’attività di ricerca legata al programma’.
Il nostro Paese, perciò , non si limita a “comprare gli aerei ” ma trarrà da questo progetto risorse economiche, occupazione e tecnologia .
Con l’adesione alla terza fase, l’Italia si impegna ad acquistare 131 F35 al costo preventivato di 12, 9 miliardi di euro spalmati fino al 2026 ed ottiene che presso l’aeroporto di Cameri ( Novara) venga realizzata una linea di produzione ed assemblaggio finale per i velivoli destinati ai Paesi europei, che darà lavoro a 1.500 persone, oltre a 10.000 di indotto, e sosterrà la produzione dell’industria aeronautica italiana per i prossimi decenni.

In particolare Cameri è destinata a diventare un centro di eccellenza tecnologica, sede delle attività di assemblaggio per gli F35 italiani ed europei e possibile futuro centro di manutenzione unico europeo, con un ritorno economico quantificabile in circa 1,5 miliardi di dollari , a cui si dovranno aggiungere ulteriori 8-9 miliardi di dollari derivanti dalla partecipazione al progetto dell’ industria aeronautica italiana, che garantirà un contributo rilevante alla crescita economica, industriale e tecnologica del Paese e soprattutto un ritorno economico complessivo superiore all’investimento.

Nel 2011 il Governo Monti rivede gli accordi sottoscritti, riducendo a 90 il numero dei velivoli da acquistare – veicoli che saranno consegnati entro il 2027 – numero ritenuto sufficiente sia a sostituire i 160 velivoli della nostra flotta che nei prossimi 15 anni andranno in pensione per vetustà, che a garantire la partecipazione industriale delle aziende italiane al progetto.
Dal punto di vista economico, notevole sarà la riduzione dell’investimento preventivato, non solo in relazione al ridimensionamento del numero dei velivoli da acquistare, ma anche per effetto dei forti investimenti precedentemente effettuati sui prototipi.
Il progetto F35 infatti prevede una lunga e costosa fase sperimentale, finalizzata a correggere ogni errore prima della produzione a regime, con il risultato si di elevare notevolmente il costo dei prototipi ma di ridurlo notevolmente nella fase di produzione di serie.

Il Parlamento voterà oggi una mozione che prevede la cancellazione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter , la cui approvazione porterebbe l’azzeramento di tutti gli sforzi e gli investimenti fino ad oggi compiuti, oltre che al pagamento di pesanti penali, darebbe un definitivo colpo finale alla nostra industria aeronautica e sostanzialmente condannerebbe a morte la nostra Aeronautica militare.

La proposta di uscire dal progetto F35 e di utilizzare i risparmi ottenuti per investimenti pubblici potrebbe anche risultare accattivante in questo momento ma e’ indubbiamente troppo comoda e semplicistica. Oltre alle considerazioni già espresse, il mio giudizio negativo su questa mozione discende anche dalla definizione di quello che ritengo debba essere il ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale e del modello di difesa che il nostro Paese dovrà fare proprio negli anni a venire. L’ Italia deve continuare a mantenere un ruolo credibile ed affidabile all’interno di organizzazioni ed alleanze internazionali, deve continuare ad operare insieme a forze armate straniere in un quadro globale che vede la comunità internazionale impegnata a mantenere la pace e la stabilità, deve continuare a far sentire la sua voce negli scenari geopolitici attuali e futuri, deve adottare un modello di difesa il cui bilancio non sia destinato prevalentemente al pagamento di stipendi e spese correnti ma agli investimenti , al rinnovo delle tecnologie ed alla specializzazione dei suoi uomini. La minaccia del terrorismo internazionale, infine, ci impone di difendere il nostro Paese ed i suoi interessi non solo lungo i nostri confini, ma anche gestendo operazioni all’estero, in scenari spesso lontani e difficili, che richiedono professionalità e tecnologia.

Per tutti questi motivi ritengo sia negativo, in questo momento, abbandonare il Programma Joint Strike Fighter.

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