Gli imprenditori italiani possono trasformare la crisi in un’occasione

Gianfranco Librandi e Massimo Librandi a Honk KongL’aereo Amsterdam-Hong Kong del 10 maggio non era pieno, i “Business Men” si contavano praticamente sulle dita delle mani e anche i cinesi erano pochi. Volando in prima classe si solito alla crisi non ci si pensa, ma, nonostante le comodità, la mente vaga e si fissa proprio là e sulle preoccupazioni lasciate in azienda. Le poche ordinazioni, le ombre di tristezza sui volti dei dipendenti che devono pagare il mutuo e cercano i tuoi occhi forti con fiducia e speranza sicuri di non cogliere nessuna debolezza. “Il lavoro andrà bene perché c’è lui, sa cosa fere e come reagire”, pensano. Ma questa volta lui l’ha provate tutte, sono tre mesi che viaggia in Europa per trovare probabili soluzioni nella confusione generale. Cosa fare? Arrendersi? Assolutamente no.

Da molti mesi gli imprenditori italiani stanno cercando di battere la crisi che ha colpito tutti i mercati del mondo facendo ricorso prima di tutto alla creatività di cui sono capaci e cercando di dare risposte originali per superare questo momento senza danneggiare le strutture, le organizzazioni e le conoscenze costruite con anni di sacrifici. L’attuale situazione di recessione in Europa, accentuata dai titoli spazzatura e in generale dalle acrobazie delle banche di affari, ritrova le sue lontani origini anche nell’aggressione che i mercati asiatici hanno esercitato negli ultimi anni, senza che i governi Europei abbiano vigilato cercando di contenere questo fenomeno distruttivo.

Ma quando c’è la crisi vincono i prodotti di qualità, quelli che funzionano e devono durare. Questo è ciò su cui occorre puntare. La gente ha pochi soldi e non vuole sprecarli con prodotti copiati e inaffidabili. Questo vale anche per i cinesi. Devono comprare i nostri prodotti, quelli con la bandiera europea e sopratutto italiana, quelli originali perché sono diversi, perché funzionano, perché sono belli da guardare, perché sono il frutto di centinaia di anni di conoscenze.

Mi ricordo quando 15 anni fa arrivavo alla barriera di Hong Kong e aspettando il ferryboat per attraversare la baia di Macao, rimanevo stupito dall’energia e dalla sicurezza con la quale i cinesi guardavano gli europei. Certo, erano mal vestiti ma sembravano sicuri del loro futuro. Loro la ricetta per era facile: bastava copiare e vendere, forti di un costo di manodopera contenuto, con un guadagno sicuro e corposo, a quegli ingenui di Europei che riempivano gli aerei verso la Cina come in un pellegrinaggio inevitabile, risolutivo.

Oggi però l’aeroporto di Hong Kong è vuoto. Ci sono più poliziotti, guardie e sanitari contro l’influenza swine che passeggeri. Niente di cui stupirsi: la crisi è in America, in Europa e quindi anche la Cina è coinvolta. Per questo i cinesi sono tristi e preoccupati. Adesso guardano noi con aria di speranza. Chiedendosi se siamo là per comprare qualcosa. Ma i tempi sono cambiati. Io non sono lì per comprare, sono lì per vendere. Voglio vendere perché ho bisogno di ordini, i miei dipendenti devono pagare il mutuo e le banche non accettano ritardi. Sono qui a proporre prodotti di qualità, che funzionano. Sì, certo, costano di più ma, per fornire l’aeroporto serve la qualità.

Il Governo Cinese, contro la recessione, ha scelto di puntare sulla costruzione di infrastrutture interne (bella mossa!) e quindi passano solo i prodotti veri e non quelli che fino a ieri i cinesi mandavano in Europa perché nessuno li controllava. E bravo Cinese che hai capito cos’è la qualità!! Quando c’è di mezzo la loro sicurezza e quella delle loro famiglie neanche i cinesi vogliono rischiare.

Sono soddisfatto, ho venduto ai cinesi il prodotto italiano e lo pagano bene, la cosa importante è non dimenticarsi di porre la dicitura Made in Italy. Ma c’è qualcosa che ancora non va. Mentre esco da una delle aziende cinesi che sto visitando vedo gruppi di operai tristi che camminano nella direzione opposta alla mia. Vedendomi sopraggiungere si girano. Riconosco immediatamente alcune persone che avevo visto lavorare nella linea di produzione anni fa, colgo nei loro lineamenti la tristezza della crisi, della recessione. Forse devono pagare anche loro il mutuo.

Questa volta non posso intenerirmi devo pensare all’Italia, loro hanno avuto la loro chance e forse l’hanno sprecata. Noi dobbiamo ricostruire l’Europa e riprenderci la leadership economica perduta.