Lettera a Silvio Berlusconi – Caro Berlusconi, l’Italia non le chiede solo di “tenere” ma di ripartire.

Ecco la lettera aperta che scrissi a Silvio Berlusconi nel 2009.

Carissimo Presidente,
nelle poche occasioni in cui ho avuto il piacere di incontrarla ho ascoltato da parte Sua parole di apprezzamento e di stima tali che mi sento autorizzato a rivolgermi a lei direttamente, con questa mia lettera.

Lo faccio però con la formula di una lettera aperta, perché le cose che mi preme dirle non sono un fatto privato o personale.

O meglio, ho la presunzione di credere che le esperienze private e personali, che riguardano la mia vita di cittadino e di imprenditore, oggi stiano assumendo una rilevanza pubblica e politica, di cui la costituzione di un movimento che abbiamo voluto chiamare Unione Italiana è stata la naturale conseguenza.
Vorrei premettere che alla radice delle mie parole, anche quando dovessero suonarle sgradevoli, esistono e resistono affetto e condivisione. Si tratta, in effetti, della mia piccola quota di quel grande patrimonio che milioni di Italiani le hanno messo a disposizione e da cui lei ha saputo attingere per governare a più riprese questo Paese negli ultimi 15 anni. Non è un patrimonio intatto e, per quanto i sondaggi continuino a lusingarla, ho l’impressione che sia invece soggetto a una lenta e progressiva dilapidazione.

Gli anni dei suoi governi sono stati anni difficili, esposti alle catastrofi del terrorismo internazionale più sanguinario e agguerrito e alle crisi economiche più diffuse e devastanti che si ricordino. Lei ha fatto della “tenuta” la missione principale dei suoi governi; con i suoi ministri ha vissuto in trincea un’estenuante guerra di resistenza contro i fattori avversi che si scatenavano sull’Italia e sul mondo. “L’Italia ha tenuto e terrà” ha annunciato trionfante il ministro Tremonti alla vigilia di Natale. Forse non poteva essere che così, forse, non fosse stato così, l’Italia si troverebbe peggio di come è oggi. Eppure, da quella trincea una sortita prima o poi deve arrivare e, caro Presidente, non possiamo aspettarcela che da lei.

Questi anni giocati in difesa hanno messo il Paese a dura prova: le famiglie si sono impoverite, le imprese hanno perso competitività, i giovani espatriano o restano disoccupati.
Il solo pensiero che potrebbe andare peggio non basta a consolare chi non arriva alla fine del mese, chi non riesce a pagare il mutuo o chi deve chiudere l’azienda perché non trova più credito. Resistere al peggio è importante, ma non credo sia questa la missione che lei si è dato quando scelse di entrare in politica, o, almeno, non è per questo che tanti Italiani Le hanno dato fiducia così a lungo.

Resistere, amministrare con parsimonia l’esistente, attendere tempi migliori sottocoperta non è da Berlusconi e, vorrei dire, non è da noi Italiani.
Guardi, Presidente, le conseguenze che ha avuto lo scudo fiscale. Fiumi di miliardi sono tornati nel nostro Paese, avranno effetto sulla crescita e saranno un motore importante per la ripresa. Ma quelli che li avevano trasferiti all’estero non erano traditori della patria ieri e non sono eroi oggi. Si tratta solo dell’effetto macroscopico di un piccolo e temporaneo allentamento della morsa fiscale. Pensi se quello spiraglio, quel sollievo dalla voracità del fisco divenisse strutturale e permanente: non crede che produrrebbe effetti ancora più spettacolari di fiducia e di rilancio?

Sempre Tremonti e sempre trionfante ha dichiarato che le tasse, nella finanziaria 2010, non sono state aumentate.

Lo sa cosa hanno pensato gli Italiani? – e glielo dico senza bisogno di sondaggi – “ci mancherebbe altro!”.
Vede, caro Presidente, in questi anni lei si è guadagnato la forte inimicizia di una considerevole parte del Paese, l’aperta ostilità della sinistra e delle sue propaggini nella magistratura e nei media. Il rischio è che la sola tenuta non basti più a contrastare questo vasto fronte che le si muove contro. Anche perché, chi è dalla sua parte, la vede con preoccupazione impegnato in una interminabile tenzone difensiva contro le persecuzioni giudiziarie, che le vengono scagliate addosso.

Il Paese ha invece bisogno della sua piena attenzione e del suo massimo sforzo per invertire il senso di declino che ci pervade. Pensi alla fatica del governare, pensi ai sacrifici della sua vita personale, pensi agli attacchi infamanti che ha subito, pensi all’odio che si è manifestato nei suoi confronti: sono questi prezzi troppo alti se servissero solamente a far restare in sella un governo che sopravvive, che “tiene”.

Stupisca ancora una volta i suoi avversari e conforti i suoi sostenitori, torni alle radici della sua “scesa in campo”, si guardi attorno, susciti e si avvalga di energie nuove e metta da parte quelle consumate e impigrite, riscopra il valore della meritocrazia, chiuda una volta per sempre col teatrino della schermaglia politica e rimandi alla ribalta quella passione per la Politica che ha animato i primi anni della sua incredibile avventura.

In troppi aspettano la sua fine. Li deluda, Presidente, e saremo ancora tutti con lei, come persone e come movimenti.

Gianfranco Librandi
Unione Italiana