Pensioni: Dichiarazione di voto sulla relazione del Governo, ex legge di contabilità

Giovedì 17 Giugno 2015, Camera dei Deputati.

La mia dichiarazione di voto, a nome di Scelta Civica, su:

Relazione al Parlamento predisposta ai sensi dell’articolo 10-bis, comma 6, della legge 31 dicembre 2009 (ex legge contabilità), n. 196 (Doc. LVII-bis, n. 3-A).

 

TESTO DELL’INTERVENTO:

Signor Presidente, Egregi membri del Governo, onorevoli Colleghi,

all’indomani dell’emanazione della sentenza della Corte Costituzionale sul blocco della rivalutazione delle pensioni, non pochi hanno richiamato alla mente l’Articolo 3 della Carta fondamentale della Repubblica Italiana, che reca un principio dedicato all’eguaglianza formale e sostanziale di tutti i cittadini. “E’ compito della Repubblica – si legge al secondo comma dell’Articolo – rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Come tanti altri cittadini, anche io mi sono chiesto se la sentenza della Corte avesse considerato o meno che nel principio di uguaglianza di tutti i cittadini va ricompresa anche l’equità tra le generazioni, il dovere che noi oggi abbiamo di non compromettere l’effettiva partecipazione degli italiani di domani all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese che verrà.

Se nel 2011 – peraltro con il voto favorevole di molti che oggi siedono in quest’ aula  – si seguì la via difficile e un po’ rozza del blocco delle rivalutazioni, la ragione era evidente a tutti: si stava salvando l’Italia da un destino terribile, il default, il fallimento dello Stato e la sua conseguente impossibilità di onorare i propri impegni con i cittadini, inclusi i pensionati.

Si preferì chiedere un sacrificio a chi aveva una pensione più che dignitosa, in anni in cui oltre al resto l’inflazione è stata nulla o addirittura negativa, per consolidare l’intero sistema pensionistico italiano e le prestazioni a favore dei meno abbienti.

La Corte ha deciso che quella scelta fu incostituzionale e alle sentenze della Corte Costituzionale ci si adegua, anche quando politicamente non le si condivide completamente.

In una democrazia avanzata, ogni potere è autonomo dagli altri, guai a non ricordarsene.

E’ evidente a tutti che se la Corte ha statuito l’incostituzionalità della misura del decreto Salva-Italia del 2011, non ha stabilito che l’unica via possibile per rispettare la Carta è la reintroduzione dello status quo ante.

Sbaglia quindi chi, nel commentare il decreto-legge 65 del 21 maggio 2015, grida all’incostituzionalità o alla sentenza tradita.

La necessità era quella da una parte di rispettare i deliberata della Corte costituzionale ma dall’altra di definire delle soluzioni eque che permettessero di evitare un impatto devastante sui conti pubblici.

La relazione presentata dal Governo che oggi è in discussione riporta numeri inequivocabili : considerato che sulla base delle vigenti regole contabili gli effetti della sentenza vanno imputati all’anno di applicazione della stessa, la banale reintroduzione dell’iniqua legge pre 2011 avrebbe comportato una spesa aggiuntiva pari  a 17,6 miliardi.

Tale maggiore spesa avrebbe quindi determinato un peggioramento dell’indebitamento netto tendenziale dell’1,1 per cento, passando dal 2,5 per cento indicato dal Documento di Economia e Finanza al 3,6 per cento, un dato che ci avrebbe sensibilmente allontanato dal rispetto delle regole europee.

L’intervento correttivo attuato con il decreto legge n. 65 del 2015 sventa questo pericolo, permettendo al nostro Paese di proseguire in un percorso di risanamento e consolidamento dei conti pubblici, prevedendo però una serie di misure che rispettano la decisione della Corte , essendo  definite sulla base di criteri solidaristici del sistema previdenziale e dei principi di adeguatezza e proporzionalità enunciati dalla Corte stessa .

Si è così deciso di peggiorare programmaticamente il deficit del 2015 e degli anni a venire, per riconoscere ai beneficiari una rivalutazione una tantum degli assegni pensionistici e si è calcolato poi l’effetto di questa rivalutazione per gli anni a venire. Tutto assolutamente corretto, tutto assolutamente condivisibile da parte del gruppo di Scelta Civica.

Ciò detto, mi sia consentito di ampliare politicamente il discorso.

Quella necessità di equità tra le generazioni è ancora profondamente attuale.

Viviamo in un Paese che invecchia, che pone la contribuzione alle spese del welfare soprattutto sulle spalle dei nostri giovani. Un Paese che invecchia è un Paese dove sempre meno giovani saranno chiamati a sostenere con il loro lavoro le pensioni di sempre più anziani. Per questo, sono molti i cittadini aventi diritto a quel rimborso che pensano che sia sbagliato scaricare un costo ulteriore sul futuro e su chi lo vivrà. Il rimborso della rivalutazione finirà per aumentare ancora di più la differenza tra i contributi da lavoro effettivamente versati dagli attuali pensionati e gli assegni di cui oggi godono.

Basta assumere decisioni a svantaggio dei giovani, basta!

Quel rimborso – lo stanno dicendo tanti cittadini di ogni età – è un diritto, ma non un obbligo. Personalmente ho promosso una proposta di legge e con alcuni amici ho lanciato un’iniziativa pubblica dal titolo “Rivalutiamo il futuro – NO al rimborso”. Proponiamo che ai beneficiari della rivalutazione sia consentito di destinare tale rimborso o all’abbattimento del debito pubblico, attraverso il versamento delle somme dovute da parte dell’ INPS al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, o al sostegno dell’occupazione giovanile, attraverso il versamento delle somme dovute da parte dell’INPS al Fondo Garanzia Giovani.

Già in tanti, signori del Governo, hanno mostrato interesse alla nostra iniziativa, dichiarandosi disponibili a rinunciare ad un diritto che considerano un sopruso ai danni dei giovani. E’ il segno che c’è un’Italia che ha ormai profondamente innovato la sua mentalità, scegliendo le leve della responsabilità e dell’equità.

Questa vicenda, che vede l’Italia della responsabilità contrapposta ad alcuni partiti che scelgono invece la demagogia e la conservazione, sia una lezione per il futuro.

Se, illudendosi di comprare facile consenso, si aumenta il peso delle pensioni attuali sul Pil e sul totale della spesa sociale, si finisce solo per sottrarre risorse ad usi produttivi, anche sul fronte del welfare o degli incentivi alla crescita e al lavoro.

L’insostenibilità sociale del sistema previdenziale è a danno dei lavoratori più giovani, che si sentono costretti a pagare contributi obbligatori altissimi, per finanziare i costi delle pensioni presenti, senza avere alcuna garanzia sulle prestazioni che riceveranno tra venti o trent’anni. Occorre invece che le pensioni presenti non gravino ulteriormente sui redditi che servono a costruire le pensioni future.

Le pensioni sono la più grande questione giovanile del nostro tempo e del nostro Paese, ed è compito di questa classe politica evitare una frattura tra generazioni. Dobbiamo difendere le pensioni del futuro. Come diceva quell’antico detto degli indiani d’America: “Dobbiamo impegnarci per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato”. Vale anche in questo caso.

Annuncio il voto favorevole di Scelta Civica alla Relazione del Governo.

Librandi